L'Onore Perduto Di Katharina Blum
Dal 22 al 26 gennaio 2020Una giovane donna appare in scena e, sforzandosi di non tradire la propria emozione, confessa a un giovane poliziotto di aver ucciso un uomo. Sembra la fine della nostra vicenda, e in un certo senso lo è. Ma ne è anche l’inizio.
Il testo di Heinrich Böll (autore anche di “Opinioni di un clown”), datato 1974 e ancora attualissimo, complice anche il felice adattamento di Letizia Russo, propone un’analisi retrospettiva senza sconti, cruda eppure ironica, con anche, a tratti, una qualche struggente sfumatura di dolcezza. Cosa ha portato Katharina Blum, la protagonista della nostra storia, intelligente, affascinante, responsabile, a divenire un’assassina? Quale meccanismo ha potuto ridurla a un tale stato di rabbia disperata?
Per capirlo, ci basta tornare indietro di qualche giorno: tanto può bastare, sembra ricordarci Böll con un amaro sorriso, a stravolgere un’esistenza. Qualche sera prima, dopo aver salutato i suoi datori di lavoro in partenza per la montagna, Katharina ha deciso, per una volta, di passare una serata diversa, di divertimento e di evasione. Così si reca a una festa, con due amiche.
E si innamora perdutamente, ricambiata, di un misterioso giovane di nome Ludwig. Per lei è soltanto Ludwig, ma per la polizia è Ludwig Götten, sospetto terrorista: un ricercato. Dopo la notte insieme, Katharina lo aiuterà a fuggire, e questa sarà la sua rovina. Non sono tanto gli interrogatori della polizia a metterla in crisi, quanto il trattamento che le riserva l’informazione.
Non a caso, Böll definì il tuo testo un pamphlet, un libello di feroce denuncia che punta il dito contro un uso disinvolto quando non addirittura tendenzioso di pettegolezzi, voci non confermate, maldicenze. Werner Tötges, giornalista d’assalto, incarna la degenerazione di una professione così preziosa per la società come quella del giornalista.
Tötges non ha rispetto per la verità dei fatti, è troppo impegnato a inseguire l’agognata prima pagina. E la raggiunge, calpestando chi intralcia la sua strada. Katharina, in questo caso: esposta al pubblico dileggio e ludibrio, come alla gogna.
E mentre lo spettacolo ci trascina, senza pause, con dialoghi ficcanti e rapidi cambi di scena, attraverso ipocrisie e crudeltà di una società che rifiuta di guardarsi allo specchio, ci par di intuire, sgomenti, quale finirà per essere l’inevitabile epilogo della vicenda. La partecipata e ben calibrata interpretazione dell’intera compagnia, ci accompagna, una seconda volta, stavolta con consapevolezza, verso la conclusione. Quella conclusione con cui, ancora sorpresi e ignari, ci siamo già scontrati non appena si è aperto il sipario.
Katharina ha ucciso. Non è riuscita a evitarlo forse, anche perché, come ricorda durante un interrogatorio, conosce la differenza tra essere “benevoli”, come per una condiscendente tolleranza, ed essere “buoni”, per scelta. Il suo amore per l’autentico significato delle parole le rende intollerabile percepirle ammassarsi intorno a sé distorte, trasformate in armi, in veleno, da chi più di ogni altro dovrebbe averne cura. E così il suo innato senso di giustizia muterà, passo dopo passo, inesorabilmente, in incontrollabile e tragico bisogno di vendetta.
Damiano Verda