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Madama Butterfly

Al Teatro Carlo Felice di Genova, dal 19 al 28 gennaio 2024
Madama Butterfly

Madama Butterfly © Teatro Carlo Felice Genova

Nel 1853, una nave mercantile americana naufraga presso le coste del Giappone. Il paese del Sol Levante aveva decretato il bando agli stranieri, tranne per l’enclave dell’isola di Deshima a Nagasaki, che era peraltro riservata a olandesi e cinesi. Nonostante le cause di forza maggiore, l’equipaggio rischia la pena di morte.

Anche a seguito di questo fatto, lo stesso anno, il capitano Matthew Perry approda nella baia di Uraga (nella zona dell’attuale Tokyo), alla testa di quattro navi da guerra, per chiedere formalmente al Giappone l’apertura dei porti, la stesura di accordi per i soccorsi, e la stipula di trattati commerciali. L’anno successivo, il 1854, segna l’apertura delle relazioni bilaterali tra Stati Uniti e Giappone.

La storia di “Madama Buttferfly” comincia circa cinquant’anni dopo, all’alba del XX secolo, a Nagasaki. Si tratta della quinta opera di Puccini e, come da tradizione pucciniana, è il racconto di un amore appassionato e tragico. In questo caso, più ancora che in altri, è il racconto di un amore tradito.

Cio-Cio-San (letteralmente, “farfalla”) è una giovane ragazza giapponese, rimasta orfana di padre: il padre ha preferito il suicidio rituale, il seppuku, al disonore. Pinkerton è un trentenne tenente della marina statunitense, uno yankee, e si trova in Giappone. Prende in moglie Cio-Cio-San, ma secondo la legge giapponese potrà ripudiarla quando vorrà. Cio-Cio-San, in cambio, si concede senza riserve, rinunciando alla sua famiglia, alle sue tradizioni, alla sua religione. Perfino al suo nome, che americanizza in “Madama Butterfly”, prima che il suo sposo torni in America.

Il suo amore ingenuo è destinato a tramutarsi, dolorosamente, in delusione, quando la speranza di riabbracciare Pinkerton dovrà, purtroppo, cedere il passo alla dura realtà. Il contrasto caratteriale tra lo spirito dolce e ingenuo di Cio-Cio-San e il cinismo di Pinkerton è trasposto in un contrasto musicale, tra armonie delicate e determinata irruenza, e in un contrasto vocale, reso magistralmente dalle interpretazioni di Lianna Haroutounian (Cio-Cio-San) e Fabio Sartori (Pinkerton).

La direzione è affidata a Fabio Luisi, direttore onorario del Teatro, per la regia e le scene di Alvis Hermanis e con i costumi di Kristìne Jurjàne, le coreografie di Alla Sigalova, le luci di Gleb Filshtinsky e i video di Ineta Sipunova.

Viene rappresentata, al Carlo Felice, la cosiddetta “quinta versione” di “Madama Butterfly”, che include le diverse modifiche introdotte da Puccini, anche a seguito di un imprevedibile fiasco alla prima rappresentazione alla Scala, nel 1904.

La regia di Hermanis sottolinea coi gesti, misurati ed espressivi, e con la danza, oltre che con le parole, le note e le voci, l’evolversi della vicenda, come nella tradizione del Kabuki, forma classica di teatro giapponese, che mescola performance drammatiche con la danza tradizionale. Nel solco di tale tradizione, anche la scelta di una luce delicata, e dei colori acquarello, delle immagini rappresentate e dei costumi.

Pinkerton, lungo tutta la narrazione, compare in uniforme. Così rappresenta, una volta di più il suo ruolo di conquistatore: viene da una terra che si vuole egualitaria ma non teme di essere aggressiva. E forte anche di tale aggressività si affaccia all’alba del Novecento, che diventerà “il secolo breve”, e un secolo americano. Il progresso tecnologico prende velocità; l’America, e con l’America anche i Pinkerton che hanno contribuito a costruirla, per tenersi al passo, corrono verso il mito di un Mondo Nuovo. Non c’è tempo per proteggere e consolare gli ingenui, e l’aria simbolo di “Madama Butterfly”, “un bel dì vedremo” lascia, pensando a ieri e forse anche a oggi, un retrogusto amaro di delusione.

Damiano Verda