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Libri


The Masterplan (Il Grande Progetto)

Dentro la storia

La cura con cui sono tratteggiati non soltanto i protagonisti, ma anche i personaggi secondari e perfino le comparse, ci trasporta in una campagna solo apparentemente arretrata e che si rivelerà invece, in una soluzione del delitto amara e sorprendente, fin troppo moderna

Thrillercafe

Il titolo “The Masterplan” si ispira a un pezzo degli Oasis, ma nel racconto risuonano e giocano un grande ruolo anche note di altro genere, come quelle de “L’isola non trovata” di Guccini. È un racconto polifonico, in cui c’è spazio, tra un indizio e l’altro, per ciascuna delle voci che narrano e vivono la storia di dire la propria. Si ha modo, per così dire, di guardarsi intorno e di incontrare i personaggi

Intervista a Sololibri.Net

La caratteristica che colpisce di più del romanzo è forse proprio la figura di Riccardo: un investigatore assolutamente sui generis, che non nasconde (neppure a se stesso) le proprie incertezze, eppure non rinuncia a cercare di afferrare il bandolo di quella matassa così intricata.

WLibri.Com

Il romanzo

Bisognerebbe leggerlo.
Pagine 206
Righe 5826
Parole 53045
Caratteri (spazi esclusi) 262.327
Caratteri (spazi inclusi) 316.957
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Trama

Un giallo. Due morti. Un colpevole. Intorno la vita di ieri (il paese, il bar, l’orto, Mendelssohn, il vecchio prete), quella di oggi (la città, la tecnologia, Investigator, gli Oasis, il business) che si incrociano nell’orto di Riccardo, ingegnere informatico. I vecchi e i nuovi miti. I vecchi e i nuovi giochi. Le eterne passioni. E, per il futuro, forse, una speranza.

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Inizio

Era il profumo delle viole il ricordo più fastidioso, più dolce e più suggestivo dell’infanzia lontana. Più fastidioso, perché di quei giorni in cui andava con gli amici a farne mazzetti sotto l’occhio vigile e attento degli adulti (che intanto raccoglievano le ultime olive) ricordava soprattutto il vento pungente di marzo che gelava le gambe nude (a San Giuseppe, cascasse il mondo era d’obbligo rimettere in uso i pantaloncini corti) e bruciava sugli occhi già feriti da un sole appena risorto e perciò prepotente.
Più dolce perché quel profumo gli ritornava alla mente, tenero e forte, come la promessa di prossimi giochi all’aperto, di future scorribande assolate sulla piazza del paese alla rincorsa di un pallone, tra le case a nascondersi oppure in mezzo alle terrazze rinate di erba e di vita a rubare e a nascondere le prime ciliegie.
Più suggestivo perché quel profumo di viole si affacciava ogni tanto nella sua vita di oggi, tra il rumore e il fumo della città, nella rincorsa tra il minuto di prima e quello di poi, sempre meno come il ricordo delle antiche promesse di vita e sempre più come il rimpianto per una nuova speranza perduta.

Conclusione

Non l’aveva più rivista, prima di partire.
Ma Riccardo sapeva che lei non avrebbe rinunciato facilmente a costruirsi un futuro. E se la immaginava con l’unico orecchino accarezzato dai biondi capelli e, ogni tanto, dalla mano che li sfiorava, orecchi e capelli, con un movimento grazioso e leggero, come quel giorno da Camilla. E gli piaceva ricordarla e immaginarla così: intenta a vivere la vita e a costruire, giorno per giorno, senza arrendersi mai, il suo Grande Progetto.
In quanto a lui, Riccardo, sperava che Luisa avesse detto sul serio; gli sarebbe piaciuto affrontare con lei il grande progetto che accarezzava da sempre. Ma in ogni caso e in qualunque posto, avrebbe comunque trovato un modo per continuare a cercare di capire perché, ovunque vai, il gallo canta sempre allo stesso modo.
Se canta.

La casa di campagna

Il sole era alto nel cielo; ora sì che veramente era tardi. Il tratto di strada tra la Chiesa e casa sua era breve e, nel percorrerlo, Riccardo si lasciò accompagnare dagli aromi di una primavera diventata aggressiva. Camminando, considerava che quella è la stagione in cui i fiori dondolano sotto la spinta di impercettibili soffi, i mandorli ondeggiano sotto il peso del loro profumo, i pollini svolazzano provocando starnuti e gli uomini si illudono di rinascere. Senza pensare che in realtà, più prosaicamente, un altro passo si va compiendo. Respirò a pieni polmoni e alzò gli occhi verso casa sua, che sembrò ricambiare lo sguardo. La caffettiera non ancora, ma ebbe come l’impressione che almeno casa sua, invece, cominciasse a riconoscerlo.

La città

La città lavata dall’acquazzone e strigliata dalla burrasca della notte e del mattino si scopriva più pulita e odorava di umido, di rinascente primavera e di fresca novità. Come dopo una doccia, pareva sentirsi vigorosa, energica e profumata. Le bagnate foglie degli alberi luccicavano ai raggi di un sole che, con il passare dei minuti, vinceva l’iniziale timidezza e asciugava velocemente le nuvole del cielo, i muri dei palazzi e le pozzanghere, almeno quelle più piccole, del terreno.
Scese dal taxi, pagò la corsa, si tolse l’impermeabile, lo ripiegò e lo appoggiò sul braccio sinistro, si mise gli occhiali da sole e sentì le narici allargarsi libere per indurlo a un profondo sospiro. Forza Riccardo, tocca a te.
...
La città era tornata affaccendata come sempre, la gente entrava e usciva senza indugi dal palazzone, sembrava che la pioggia avesse dato nuovo vigore alle consuete abitudini e attività. I vigili si erano rimessi a fischiare, le auto a parcheggiare in doppia fila e gli uomini di affari (quel palazzo ne era pieno) a studiare il modo migliore di far soldi e di fregare il prossimo.

Sullo sfondo

Dungeons & Dragons, gli Oasis. Mendelssohn, Edgar Allan Poe…

I personaggi
Riccardo

Faceva freddo e i vetri delle finestre lasciavano spirare invisibili spifferi che lo colpivano attraverso introvabili spiragli, come pensieri attraverso inavvertibili percorsi. Il riscaldamento faticava a sconfiggere il freddo di anni e Riccardo ripensava a quello che gli aveva detto una volta Aldo: le case sono come le persone; se le lasci sole intristiscono, decadono, regrediscono, vanno indietro. E lui che, approfittando di ferie mai godute, aveva cercato un po’ di solitudine, diviso dalla città frenetica, distante dalle recenti delusioni, lontano dalle ultime incomprensioni con Luisa, sospirando alla sera che scivolava nel buio, si trovava adesso un po’ disorientato, con qualche preoccupazione diversa in più, un po’ frastornato e smarrito, in una casa che stentava a riscaldarsi perché, forse, stentava a riconoscerlo.

Luisa

La radio aveva iniziato a trasmettere “All by myself” interpretata da Eric Carmen, un pezzo lento e dolcissimo che gli ricordava le prime sere che portava Luisa in discoteca. Ricordava come ballavano stretti, stretti, ricordava il suo calore e il suo profumo: Luisa, se dovesse succedere qualcosa, vorrei che sapessi…che sapessi… vorrei che sapessi. Ricordava, come il flashback di un film in bianco e nero, un colloquio che aveva avuto con lei.
- Com’è che ti piace così tanto “All by myself”?
- Mi piace come canzone e mi ricorda l’episodio di un film che un po’ mi ha sconvolto, un film con Ornella Muti.
- Capisco lo sconvolgimento… - quando Luisa sorrideva c’era solo il suo sorriso a illuminare il mondo.
- Nel film lei, mi pare che fosse una hostess, conosce un bel ragazzo bruno, scuro. È affascinata dalla sua bellezza esotica e dai suoi modi gentili. Ballano, fanno l’amore, passano la notte insieme e il sottofondo è di quella canzone. Quella canzone piace tanto a tutti a due, ma i minuti passano, entrambi sanno che la loro storia non avrà un seguito, capiscono che la loro piccola rosa sta già per appassire e - Luisa lo guardava dolce, mamma mia, come era vicina - e arriva troppo presto il momento della partenza. Ma quando lei sta per salire sul suo aereo, si sente ancora quella canzone. Non è un’impressione, non è un’illusione, il suo innamorato si fa largo tra la folla e le porge un piccolo mangiadischi rosso. C’è dentro, in funzione, il disco con la loro canzone…
- Romantico…
- Ma il film non finisce così.
- No?
- No. Si conclude con l’immagine del ragazzo seduto al bancone di un bar che beve qualcosa. Nel frattempo il telegiornale sta trasmettendo una notizia, più o meno questa: l’aereo esploso in volo non ha lasciato superstiti. Sembra che la carica di esplosivo, possa essere stata introdotta sul velivolo nascosta dentro un oggetto di piccole dimensioni, per esempio, una radio, un mangiadischi…
E Luisa che si alzava, lo prendeva per mano e lo conduceva in mezzo alla pista. Lo stringeva ancora più forte di prima e, solo dopo un po’ gli rivolgeva una domanda.
- Perché ti turba così tanto questa storia?
- Perché non c’è nulla di più sconvolgente dell’essere strumento inconsapevole di qualcuno quando pensi di poterti fidare.
Ora Riccardo sentiva di trovarsi forse in una situazione simile, una situazione della quale non riusciva a definire bene i contorni e nella quale qualcuno lo stava usando come latore inconsapevole di chissà quale bomba, che da un momento all’altro poteva di esplodergli addosso. E non c’era neppure Luisa a stringerlo e a tenergli la mano.

Aldo

Aldo non era alto, era più basso di lui e un po’ più rotondo; i suoi larghi occhiali da vecchio professore in pensione (pensionato da anni, pensionato baby, ci teneva a puntualizzare) un po’ larghi sul naso, al punto che ogni tanto con la punta dell’indice doveva spingerli verso gli occhi; la gamba che da anni, mentre camminava cedeva un pochino, ma non gli impediva il passo veloce, né la guida della sua vecchia e gloriosa lambretta; lo sguardo vivace che, rispetto a come era in realtà, lo dipingeva meno intelligente e più vissuto. Ma come era Aldo? Chi poteva dire come era veramente Aldo? Aldo era Aldo. E, se aveva un po’ mentito quando aveva risposto che gli erano mancate le antiche discussioni, non lo aveva fatto quando gli aveva detto che gli faceva piacere rivederlo. Anche quella mattina, come sempre.

Rossana

Una ragazza in particolare lo guardava come interessata, divertita. Giovane, bionda, carina; seduta al tavolino da sola. L’aveva notata, entrando, sorseggiare malinconicamente una bibita (forse una coca), con lo sguardo lontano, come se stesse aspettando qualcuno. Aveva accennato a qualcosa che poteva sembrare un sorriso verso di lui, ma subito aveva abbassato gli occhi mentre Riccardo era occupato a disfarsi di ombrello, cappotto, colbacco e sciarpone. Una cosa però ora attirava inequivocabilmente l’attenzione di Riccardo, intanto che lei lo guardava e mentre lui se ne chiedeva il perché.
Indossava una gonna a tubino azzurra al ginocchio, una camicetta rosa, un cardigan beige. L’orecchino che pendeva, scherzoso e vivace, da un orecchio della ragazza assomigliava moltissimo a quello che aveva trovato nell’orto. Un orecchino soltanto: l’altro lobo era vuoto, accarezzato soltanto dai biondi capelli e, ogni tanto, dalla mano della ragazza che li sfiorava, come per un vezzo grazioso.

Paolo (il maresciallo) e Giovanni (o’ marescia’)

Lo guardava allontanarsi e rifletteva su come era cambiato e su come era rimasto uguale.
Paolo.
Lo rivedeva ancora ragazzo, insieme a lui a tirar calci ad un pallone, in piazza. Lui era lo stopper . Era “l’uomo di peso” della squadra. Lo si chiamava così, ironizzando su quell’accenno di pancia, sull’andatura un po’ pesante e sulla sua scarsa abilità coi piedi. Sì e no toccava due palloni a partita.
Non che la sua presenza in campo fosse ininfluente: gli avversari ne erano talmente impauriti da consentirgli di giocare con tranquillità. Tanto dietro c’era Paolo. Povero Paolo. Sempre “dietro”, sempre a faticare. Strano che si rendesse conto solo ora di quanto Paolo avesse dovuto sgobbare.

In quanto a o’ marescia’, certo, proseguiva Aldo, era nu poco ‘nvecchiato (era originario di Napoli, chissà al paese come c’era finito), ma se li portava bene e aveva sempre voglia di parlare e di scherzare e, qualche volta di sentenziare da vecchio filosofo quale, fin da giovane, era sempre stato. Che vuo’ fa, lo aveva salutato quando se ne era andato, il mondo è grande e il mondo è piccolo; quando tornerai, avrai scoperto che il gallo canta in tutto il mondo allo stesso modo, ma ti auguro di tornare ricco e felice. Statte buono, Ricca’, te voiobbene.

Gigi

...Gigi, che aveva fatto la sua comparsa al paese, ricchissimo, per costruirsi una villa hollywoodiana, sfarzosa e sontuosa, sulla collina. In mezzo ai fiori che aveva fatto piantare al posto degli ulivi che, come raccontava, gli facevano ombra e lo inducevano alla malinconia…

Maria e gli altri

- C’è qualcosa nel pozzo, qualcosa di grosso…
- Sembra un corpo, un animale…
Chi aveva parlato per primo era Andrea, il marito di Maria, che avevano chiamato per dare una sistemata al coperchio e alla casa. Aveva risposto Maria, la moglie. Moglie e marito curavano i terreni, la casa, i residui affari di Riccardo al paese.
- Prendi quella canna, che provo a muoverlo.
- Forse si riesce a capire cos’è…
Un’ora dopo cos’era, meglio chi era lo scoprivano, insieme a Riccardo, Paolo, Aldo, due carabinieri della locale stazione, qualche altro uomo del paese e o marescia’ che, nel momento in cui il corpo fu sollevato (con un artigianale e improvvisato sistema di ganci, corde e carrucole) e depositato sul terreno, fu il primo a rompere il silenzio.
- Chi non muore si rivede. E chi muore pure.

Gli amici del bar

Quando Orazio era entrato nel bar ad interpretare il primo quarto d’ora di celebrità della sua vita stava andando in scena una di quelle discussioni astutamente innescate, all’unico scopo di vedere la gente accalorarsi sul nulla, da Aldo che così ingannava il tempo, gli amici e forse se stesso. L’interrogativo era: è meglio il caldo o il freddo? Stefano aveva sostenuto che era peggio il freddo e si era preso un bravo stupido da parte di qualcuno che concitatamente argomentava.
- Dal freddo ti difendi, guarda che bella fiamma nella stufa.
- Anche dal caldo, ti butti in acqua, vai sotto un fico…
- Sì, sì, vai, vai… vai sotto padrone a lavorare, invece di stare sempre lì a grattarti le balle, poi vedi, col caldo, che tempo fa.
- Perché col freddo invece lavori bene? - era intervenuto Giulio, che aveva proseguito - quando ero in ferrovia, le mani viola - calcando sul viola - dal ghiaccio…
C’era stata a quel punto una universale sollevazione, accompagnata da una generale ilarità.
- Il martire del lavoro, in ferrovia…
- Raccontala a un altro.
- Per quello gli hanno regalato gli anni per la pensione, era troppo logorato…
- Ma va, era un debito… Così lo pagano per starsene a casa.
- Così gli rende di più.
Toccava a Giulio essere preso di mira e commentare, ridendo.
- Vai a fare un discorso serio con questi ignorantoni, mai discutere con gli ignoranti, dico bene Riccardo? Se la piantate di sparare cazzate, Riccardo, che è istruito e intelligente, paga da bere…Vero Riccardo?
Era stato Orazio, entrato in quel momento con il suo cane e la sua notizia, a risparmiare l’offerta a Riccardo, a concludere il dibattito e a spingere qualcuno a commentare: «Poveretta, mah, prima o poi…» sottintendendo che poteva essere nel conto che, prima o poi, dovesse finire così.

Gli esperti

Già li sentiva gli psicologi, gli educatori, i magistrati dei minori, gli specialisti, gli esperti, già li vedeva discutere in tv del disagio giovanile, dei nuovi bisogni e delle antiche difficoltà, come Stefano, Giulio e gli altri, nel bar del paese, dissertare del caldo e del freddo e del nulla; fino all’improvvisa entrata in scena di un Orazio che, senza neppure saperlo, riporta il discorso sulla terra della vita e della morte e la mente al cielo delle utopie e delle illusioni.

Orazio e Dog

L’aveva trovata, sepolta sotto la neve, Dog, il cane di Orazio. Si era messo ad annusare, a guaire e a mugolare finché il suo padrone e i carabinieri che erano con lui (Orazio era il giardiniere che i carabinieri avevano chiamato perché li accompagnasse nel sopralluogo in casa del defunto) non si erano decisi a scavare un po’ sotto la neve. Non avevano dovuto faticare troppo, raccontava Orazio al bar di Marcello, la coltre di neve era ancora soffice e morbida; tenera come il tono di voce di Orazio mentre, dopo aver bisbigliato che il suo volto era chiaro, bianco come la neve, mormorava l’immancabile: «Sembrava che dormisse».
Tutti i morti sembra che dormano, pensava Riccardo.
Quasi tutti; non Gigi, per esempio, quando l’avevano sollevato dal pozzo, come un fradicio, scomposto, penzolante sacco di patate.
Orazio aveva invece avuto un’impressione di compostezza, di serenità. Ma che significa. Un morto non può più essere né sereno né agitato, né strano né sbruffone, né vecchio né giovane. Gigi, il vecchio marpione, come Marzia, la giovane stravagante, la ragazzina smarrita, forse già perduta, il fiore già appassito prima ancora di fiorire. Un morto è un morto.

Marzia

Ricordava quel piccolo batuffolo biondo che dormiva al suo canto incerto; forse già sognando improbabili tesori e più probabili pirati. Nessuna ninna nanna per Marzia che moriva, nessuna isola incantata per la sua galea:
“…svanì di prua dalla galea,
come un’idea
come una splendida utopia
è andata via e non tornerà mai più…”.
Chissà alla fine della sua rotta cosa aveva trovato, prima e oltre la neve che l’aveva ricoperta, ultima tardiva delicatezza di un universo che non aveva trovato il modo di mantenere le sue promesse e di pagare i suoi debiti con una bambina cui non era stato dato di crescere senza fretta.

Giornalisti e inviati

La neve si sciolse. Fu come buttare un osso in mezzo a mille cani affamati e inferociti.
Non appena i giornalisti ebbero la possibilità di arrivare sul “luogo del delitto”, si precipitarono, alla disperata ricerca dello scoop. Febbricitanti, ansiosi, vagavano per il paese come insetti impazziti, alla ricerca di qualche dettaglio…

Depretis, un giornalista

- Non mi interessa uno scoop, mi creda, la linea del giornale è l’approfondimento, mi interessa il background, mi occupo dei risvolti - ma si capiva che invece era proprio lo scoop che poteva lanciarlo, altro che il background, che andava cercando - come mai è tornato al paese, nostalgia?
- Un po’. E un po’ di vacanza, no?
L’intervista proseguiva, con la richiesta di impressioni sul vecchio paese (e sul suo background) dopo tanti anni e approfondiva i risvolti con le riflessioni sul tempo che passa e le stagioni che volano. Riccardo nel frattempo esaminava un po’ meglio il giovanotto che aveva scelto come valvola di sfogo, come quel nessuno che non avrebbe suscitato l’invidia dei suoi colleghi e tantomeno avrebbe risvegliato il risentimento di Luisa che, lo sapeva benissimo, avrebbe pagato per potersi intrufolare nel mistero.
Era un ragazzotto all’apparenza sveglio, pieno di entusiasmo e con la giusta dose di ambizione. Era vestito come se si fosse appena materializzato dalla copertina di Vogue, berretto escluso, ma parlava e si atteggiava come se avesse appena terminato la foto di gruppo dopo l’esame di maturità. Voleva dimostrarsi aggressivo, ma non superficiale, svelava invece timidezza. Ostentava sicurezza e maturità tradendo incertezza e inesperienza. Era antipatico per quello che voleva apparire, un po’ più simpatico per quello che lasciava trasparire.

Giorgio, il fidanzato di Rossana

Giorgio era alto e bruno, sembrava più giovane di lei, lo sguardo era aperto, l’atteggiamento sincero, ma pareva un po’ preoccupato.

Venturi

Venturi era, per dirla in breve, il boss (non un, il boss) delle nuove tecnologie, l’Agnelli dei microchip, il Bill Gates milanese.
Preparato, intelligente, simpatico, ricchissimo, particolarmente ben disposto verso Riccardo. Fratello di Luisa, alla quale era legato da un affetto grande e incondizionato, quasi paterno. Da anni Riccardo lavorava per lui, curando il settore della progettazione e della ricerca.

Bortolazzi, il brigadiere

Il grande, vecchio tavolo di legno in mezzo, alcune sedie intorno al tavolo come ad attendere una improbabile riunione, altre sistemate in bell’ordine vicino alle pareti, una pianta verde nell’angolo più vicino alla finestra che dava sul cortile e l’immancabile, pregnante, vigoroso odore di tabacco da pipa. Voleva dire che il brigadiere Bortolazzi era ancora in servizio. Voleva dire che le leggi antifumo erano riuscite a far sparire i portacenere dal tavolone centrale, ma non avevano avuto ragione del brigadiere Bortola’, né della sua pipa. Voleva dire che, nonostante tutto, le colonne portanti restano. E restano tali.

Il vecchio prete

Il vecchio prete gli venne incontro zoppicando, ma quasi di corsa, un po’ inciampando in una vecchia tonaca troppo lunga per un corpo che l’età aveva accorciato, ma ancora abbastanza sicuro e sufficientemente fermo nel passo deciso.
- Giovanotto, mi fa piacere vedere gente in Chiesa a tutte le ore, anche quando non c’è la messa, ma è ora di chiudere, mi spiace.

Barca

Quello che fino a quel momento poteva sembrare un piazzista da fiera (non lo dò per venti, non lo dò per quindici, non lo dò per dieci, lo regalo per cinque e ci aggiungo un paio di lenzuola, un servizio di piatti e quel bellissimo orologio a cucù…) lo fissava dritto negli occhi. Mentre le parole erano una esplicita promessa, lo sguardo e il sorriso freddo costituivano un avvertimento inespresso, ma chiaro e preciso. La mano che strinse gli apparve vigorosa, ma sudata, bianca e pulita come quella di un chirurgo, ma unta e scivolosa come quella di un venditore di olio in piena attività.

Sergio, il dottore

Sergio aveva detto almeno due giorni senza uscire, se voleva evitare una ricaduta: il tempo era troppo ballerino e quell’influenza era subdola. Il vaccino cosa l’aveva fatto a fare? Be’, se non l’avesse fatto l’avrebbe presa ancora più forte, si diceva.
C’è sempre una spiegazione scientifica a tutto. A tutto. Anche ai floppy scambiati, ai cd rinvenuti per caso, alle morti sospette.

Laurenti

Laurenti indossava un vestito grigio, elegante e sobrio che sembrava tagliato su misura. Calzava scarpe nere, lucide e pulite e dava l’impressione di un uomo di mondo, distinto e raffinato, dai modi cortesi, ma fermi. Sorridente, sicuro di sé senza essere arrogante. Un po’ come Venturi. Ma di più.

George

- Senti, Marlowe, ho parlato abbastanza, Barca non scherza e, in fondo, è un rompiballe maleducato, ma non mi ha mai fatto nulla di male. Finora. Dunque: quindicesimo piano, tutto. Tutto il piano intendo. Buongiorno.